Paul Allen, fondatore di Microsoft, sembra ora aver trovato il relitto della HIJMS Musashi. Affermare che la Musashi sia stata la più potente nave da guerra mai costruita sarebbe un’inutile controversia, ma per la maggior parte dei conti era la più grande (molto marginalmente più grande della sorella, HIJMS Yamato). L’affondamento della HIJMS Musashi nell’ottobre 1944 rese tristemente chiaro ciò che molti osservatori avevano sospettato fin dal 1941, e persino dagli anni ’20: un numero sufficiente di aerei da trasporto impegnati poteva affondare una corazzata, anche quando la corazzata aveva un pesante armamento antiaereo e poteva manovrare in velocità. Ma uno sguardo più attento alla storia offre alcuni spunti per capire il rapporto tra innovazione militare e “obsolescenza”.

In un certo senso, l’affondamento della Musashi fu la risposta definitiva alla sfida che Billy Mitchell lanciò all’utilità delle navi da guerra nei primi anni Venti. I bombardieri americani affondarono il relitto della corazzata tedesca Ostfriesland nel luglio 1921, portando i sostenitori del potere aereo a sostenere che la corazzata, e in realtà tutte le navi da guerra, erano diventate “obsolete”. Taranto e Pearl Harbor, dove le portaerei affondarono le corazzate all’ancora, erano parte di questa storia, ma una pietra miliare ancora più importante fu l’affondamento della HMS Repulse e della HMS Prince of Wales, a vapore, da parte degli aerei giapponesi il 10 dicembre 1941.

Un altro racconto offre maggiore complessità. La Musashi avrebbe preso 19 siluri e 17 bombe (in confronto, le otto corazzate attaccate a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941 presero collettivamente 15 siluri e 19 bombe) prima di affondare nel Mar Sibuyan. Nessuna forza aerea al mondo era in grado di infliggere tali danni a un bersaglio mobile e ben difeso prima della metà del 1944, quando la Marina degli Stati Uniti accumulò una flotta di piloti, aerei d’attacco e portaerei di una dimensione e letalità che nessuno aveva immaginato nel 1942, tanto meno nel 1921.

Musashi entrò in servizio nell’agosto 1942, e rimase in servizio per poco più di due anni. Era obsoleta prima di essere completata (e forse anche prima di essere posata)? In un certo senso, sì; semplicemente in termini di massimizzazione della letalità, la Marina imperiale giapponese (IJN) avrebbe fatto meglio a concentrare i suoi sforzi sui sottomarini e sull’aviazione navale. Col senno di poi, la costruzione della Musashi e delle sue controparti sembra sprecata e stupida. Ma allora le portaerei erano considerevolmente più vulnerabili delle corazzate, anche verso la fine della guerra. Danni che avrebbero lasciato una corazzata ancora operativa potevano paralizzare o distruggere una portaerei.

Questa narrazione dell’obsolescenza, comunemente raccontata della corazzata, serve ad oscurare più di quanto non illumini. È impossibile sostenere che la Musashi abbia rappresentato una saggia allocazione delle risorse nazionali giapponesi. Allo stesso tempo, etichettare la Musashi come “obsoleta” porta a un fraintendimento dell’utilità militare. Le marine della Seconda Guerra Mondiale trovarono molti usi per le navi da battaglia “obsolete”, alcuni previsti dai loro progettisti, altri no. La rapida eclissi della corazzata nel dopoguerra doveva tanto alla struttura della politica internazionale (e alla distruzione delle grandi marine della seconda guerra mondiale) quanto all’obsolescenza della piattaforma.

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Il bombardiere strategico offre un utile contrasto/confronto. Il B-52 Stratofortress è obsoleto per la sua missione come lo sarebbe l’HIJMS Musashi per la sua, e i nuovi aerei costruiti appositamente non avranno praticamente nessuna somiglianza con il vecchio BUFF. Ma nessuno parte da zero, e la capacità di un esercito di trovare usi per le sue piattaforme ereditate è spesso importante quanto la sua capacità di sfruttare le nuove innovazioni tecnologiche.

L’ultima eredità della Musashi e delle altre grandi corazzate che hanno guidato le marine è forse la convinzione che l’unica difesa sta nel non essere colpiti; nessun grado di armatura o di resistenza strutturale potrebbe impedire la distruzione di una nave di superficie da parte di un aereo o di un sottomarino. Questa lezione è stata forse troppo imparata; l’esperienza dei cacciatorpediniere britannici nelle Falkland ha indicato che gli architetti navali dovevano prestare attenzione alla resilienza. In effetti, la prossima guerra potrebbe dimostrare che i caccia “stealth” sono altrettanto “obsoleti” delle navi da guerra corazzate.

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