Come ci si sente quando la tua chiamata viene annullata?
Quando hai chiaramente torto, e ora che è stato annullato, provi un senso di sollievo. Noi cerchiamo di togliere l’ego da tutto questo. Il tuo lavoro è quello di essere un amministratore del gioco.
Le superstar hanno più margine di manovra?
Direi che la maggior parte dei giocatori superstar nella nostra lega non ricevono tutte le chiamate e non ricevono tutti i fischi che meritano.
Sono d’accordo con te.
Sono d’accordo, esatto. In realtà finiscono un sacco di giochi sul bordo e sono così forti e così veloci – e la mano è più veloce dell’occhio – che ci sono cose che torni indietro e più tardi, vai: “Wow, sai cosa? Ha subito un fallo.”
C’è una bella storia che hai del tuo periodo come arbitro?
Deve essere stato il mio primo anno nella lega. Il mio momento di “benvenuto nella N.B.A.”. Sto arbitrando una partita dei Lakers ed è Kobe Bryant. Kobe nel 2003, 2004, era più giovane e sfacciato. Stava inseguendo un’eredità. Era un grande giocatore e intenso. Mi ricordo che c’era una partita e Kobe chiese informazioni su un’azione. Pensava di aver subito un fallo sul gomito mentre tirava un jumper. La cultura della N.B.A. è che, per noi, se un’azione in questione avviene nel primo tempo, puoi andare nell’intervallo, guardare l’azione, tornare e dire: “Sì, avevi ragione” o “No, avevi torto”. Certo, Kobe ha subito un fallo e mi sono perso la giocata, e avrebbe dovuto essere un fallo.
Quando lo dici a un giocatore e abbassi la guardia e dici: “Ehi, ho sbagliato quella giocata”, il 90% delle volte il giocatore dirà: “Ehi, non preoccuparti. Prenderai la prossima”. Questo è il tipo di ambiente di lavoro. Torno fuori, mi avvicino a Kobe e dico: “Kobe, avevi ragione. Sei stato colpito sul gomito”. Mi ha guardato stralunato e mi aspettavo una pacca sul sedere o altro. Mi ha guardato a bocca aperta e mi ha detto: “Datti una regolata”
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